Così è sparito il rugby a Roma

Riporto per intero un articolo di Valerio Vecchiarelli sulla situazione difficile del rugby di alto livello a Roma, pubblicato sul Corriere.it


Divisioni e debiti, così è sparito il rugby

La parabola: il fallimento di Roma, club storico, e il ridimensionamento della Capitolina


ROMA - Il rugby che a Roma non c'è più - tanta base e poco vertice - è una storia iniziata nel 1927 e costruita su una moltitudine di anime, individualismi in quello che è lo sport collettivo per eccellenza, scissioni e riunioni a non finire. Dopo l'ultimo acuto, lo scudetto della Rugby Roma del 2000, il Flaminio a festeggiare la fine di un digiuno durato mezzo secolo figlio della passione e dell'impegno personale di Renato Speziali - ultimo dei dirigenti di un'era romantica -, solo una lenta agonia, il pezzo più glorioso della storia ovale cittadina cancellato dai debiti e da gestioni prive di passione, gli altri che scelgono di ridimensionare le proprie ambizioni, con l'Unione Rugby Capitolina che dopo un'ascesa fulminante abbandona un'insostenibile via al professionismo e riparte dal basso.
Oggi c'è la sola Mantovani Lazio a navigare in Eccellenza. Il progetto è solido e lo dimostrano i tanti giovani prestati alle varie nazionali giovanili, ma il vertice è un'altra cosa. Poi una miriade di piccole realtà, la Capitolina che naviga nel secondo girone della serie A con una squadra composta esclusivamente da «giocatori soci», ovvero chi va in campo paga per divertirsi e per sostenere il programma del club che ha sempre più un occhio di riguardo al vivaio. Ci sono le Fiamme Oro a primeggiare in serie A, squadra che ha sede a Roma ma radici itineranti, una realtà vincente però avulsa dalla vita dei club locali. Lontani i tempi (anno 1970) in cui in serie A primeggiavano 4 squadre della Capitale: Rugby Roma, Buscaglione, Lazio e Frascati.
Eppure Filippo Buscema, il mediano di apertura che una settimana fa ha condotto la nazionale Under 18 a uno storico successo sull'Irlanda, è cresciuto in via Flaminia sui campi della Capitolina, il suo collega in azzurro, Tiziano Pasquali, è pilone in Inghilterra con i Leicester Tigers dopo aver imparato l'arte della mischia con il Porta Portese Rugby. Così come romani sono Sami Drissi e Luca Conti (Capitolina) o Ruben Riccioli e Pietro Ceccarelli (Mantovani Lazio) che ieri sera hanno giocato con l'Under 20 in Irlanda per il Sei Nazioni di categoria. Tanta qualità, però, è costretta a disperdersi nel momento di fare il passo definitivo, perché a Roma non c'è uno sbocco verso l'alto livello, si combatte dentro alle parrocchie, il campanile è più importante del bene comune.
L'incapacità di presentare una seria candidatura per una franchigia di Celtic League (finita a Viadana e Treviso) con il progetto «Pretoriani» fallito prima ancora di prendere forma, ha segnato il limite della voglia di fare squadra, anche in quell'occasione mortificata dalle piccole beghe personali. Oggi il rugby romano è tanta passione, tanti tecnici di ottimo livello, tanti giovani pronti a rifornire il serbatoio azzurro. Le potenzialità e la cultura rugbistica fanno parte del tessuto sportivo cittadino. Mancano gli intenti unitari in una città in cui tutti aspettano un aiuto dall'alto, un intervento pubblico, ma oggi quell'aiuto è monopolizzato dalla Nazionale e dalle due giornate di festa l'anno che girano intorno allo spettacolo del Sei Nazioni.

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